Un ammasso confuso di frammenti presi in prestito qua e là… così il celebre architetto Viollet-le-Duc si esprime a proposito dell’ église Saint-Eustache. Un commento non troppo lusinghiero per una chiesa che invece, a mio modesto parere, è molto bella.
E così, giusto per fare un dispetto al restauratore folle che imperversava durante il secondo Impero a Parigi (e non solo, ahimè), oggi vi porto a Saint-Eustache.

Di sicuro in una delle vostre passeggiate parigine, sarete incappati nel Forum des Halles, il famoso centro commerciale nel cuore della città, che recentemente ha subito un restyling completo (per fortuna, perché era proprio brutto!).
Adesso una copertura sinuosa ed elegante come un’onda, la canopée, riveste il formicaio di negozi che si addentra nelle viscere della città, e dei bei giardini verdeggianti pieni di bambini lo separano dall’imponente e bianca mole dell’ église Saint-Eustache.

Agli inizi del XIII secolo, sulla via che portava dall’Île de la Cité a Montmartre, vicino alla cinta muraria di Filippo Augusto, sorgeva una piccola cappella dedicata a Sainte-Agnès. A partire dal 1223 la cappella divenne parrocchia e prese il nome di Saint-Eustache, accogliendo le reliquie del martire romano donate dall’abbazia di Saint-Denis.
Nel tempo la città crebbe e con essa i suoi abitanti e fu così che un bel giorno la piccola cappella non poté più contenere tutti i fedeli che volevano assistere alle celebrazioni. Occorreva una nuova e più grande casa di Dio ed ecco che nel 1532, quando sul trono di Francia sedeva quello sciupafemmine di François I, si decise di porre la prima pietra della chiesa che noi ammiriamo oggi (alla faccia di Viollet-le-Duc).
Per terminarla ci volle più di un secolo, complici le Guerre di Religione, la mancanza di fondi e la natura capricciosa del terreno su cui è stata costruita, ma finalmente il 26 aprile 1637 la chiesa fu consacrata in pompa magna dall’arcivescovo di Parigi in persona, Jean-François de Gondi.

Coraggiosamente progettata in stile gotico pur essendo in pieno Rinascimento, questa chiesa dal carattere deciso unisce elementi prettamente medievali ad altri classici e rinascimentali in un insieme molto armonioso. Se avete tempo, potete sfidare i vostri compagni di passeggiata a un infuocato match di “Cerca l’intruso”: statene certi, non rimarrete delusi.
Quello che colpisce non appena entrati sono i volumi, che non si indovinano da fuori. Qui tutto pare smisurato: le volte si perdono verso il cielo, le navate sfumano nella penombra e un certo sentimento di smarrimento si impadronisce di coloro che varcano la soglia per la prima volta.

Resterete incantati dai giochi di luce che le alte vetrate proiettano sui pavimenti di pietra e i passi degli illustri parrocchiani di un tempo si uniranno ai vostri nell’esplorare le cappelle, nell’ammirare i dipinti (tra cui un bel Tobia e l’angelo di Santi di Tito) e l’organo più grande di Francia, facendosi più leggeri nel passare davanti alle tombe (la più sontuosa è quella di Colbert) e ai mausolei, rallentando nei pressi delle curiose opere contemporanee, a cui proprio non riesco ad abituarmi (sarà per via dell’età, ma trovo che siano una piccola nota stonata in una perfetta sinfonia d’insieme).

Sono molti i fedeli che vengono a pregare a Saint-Eustache, che si raccolgono nella cappella della Vergine o semplicemente si siedono nella navata centrale, lasciandosi permeare dalla sacralità del luogo, e non è raro incontrare dei senza tetto che qui cercano rifugio e dignitosamente rivolgono al Cielo i loro pensieri.
È per questo forse che a Saint-Eustache io non riesco a essere semplicemente una turista, a scattare foto o a curiosare qua e là. Preferisco sedere e osservare, scoprire i piccoli segreti nascosti tra i le pieghe sovrapposte del tempo, ascoltare cosa hanno da raccontare queste vecchie pietre.
Mi dicono orgogliose che tra le loro spesse mura sono stati battezzati Richelieu, Molière e Madame de Pompadour, che niente popò di meno che Louis XIV, il re Sole, qui ha fatto la Prima Comunione e che il potente duca di Sully, quello del celebre palazzo che si apre su place des Vosges (qui troverete l’articolo dedicato, se vi va) e il musicista fiorentino Gian Battista Lulli, divenuto poi il celebre compositore barocco Lully, scelsero Saint-Eustache per impalmare le loro promesse spose.

Sussurrano indignate la vergogna di essere divenute Tempio dell’Agricoltura durante la Rivoluzione francese e ancora non hanno digerito il disprezzo di Viollet-le-Duc.

L’atmosfera di Saint-Eustache è quella di una chiesa “reale”, imponente, solenne, maestosa. I restauri in corso le stanno restituendo i colori delle origini, lo splendore degli ori, la freschezza della gioventù, dissipando le cupe polveri del tempo che fino a un anno fa opprimevano chi entrava.
Ogni tanto arrivano fin qui, nel cuore della chiesa, le voci dei bimbi che giocano nei giardini, che si divertono negli specchi d’acqua delle fontane, che corrono con le biciclette tra i vialetti alberati e penso che non potrebbe esserci colonna sonora migliore per accompagnare i pensieri di tutti coloro che vengono a Saint-Eustache, qualunque sia il motivo che li porta qui.
