Sistemata comodamente su una delle sedie verdi del Jardin du Luxembourg – una di quelle inclinate con braccioli, s’intende – all’ombra di un gigantesco ippocastano in un’ afosa domenica di luglio, ho letto un articolo molto divertente dedicato agli strani mestieri che si praticavano a Parigi durante l’Ancien Régime.
Mi ha incuriosito moltissimo, tanto che il topo di biblioteca che alberga in me si è subito dato da fare, nonostante il caldo, per cercare di saperne di più.
Il topo ha scoperto così che in un libro intitolato Tableau de Paris, pubblicato nel 1782, Louis-Sébastien Mercier, prolifico scrittore e drammaturgo francese, ci ha lasciato un accurato racconto – ben dodici volumi – della vita quotidiana a Parigi in quell’epoca.
I mestieri scomparsi
L’autore si lamenta del fatto che il progresso e la scienza abbiano provocato la scomparsa di alcuni mestieri del passato, piuttosto strani a dire il vero.
Ci sarebbe da domandarsi che cosa mai avrebbe detto Monsieur Mercier se solo fosse vissuto un secolo più tardi, in piena rivoluzione industriale…
Mercier si dispiace anche che la polizia renda la vita dura ai venditori ambulanti del Pont Neuf e a quei cosiddetti medicastri, che proponevano elisir miracolosi e polveri magiche a qualche sprovveduto credulone, cacciati per volere della potente Faculté de médecine.
I dotti della Faculté, infatti, si vantavano di essere i soli a possedere conoscenze approfondite della meccanica del corpo umano, salvo poi distribuire salassi a destra e manca nei momenti meno opportuni, come panacea di tutti i mali.
Restavano comunque una quantità di mestieri a dir poco “originali”, inventati dall’oggi al domani da ingegnosi imprenditori fai da te, che non avevano un negozio dove proporre le loro mercanzie o i loro servizi, ma che se ne andavano in giro per la città urlando slogan pubblicitari per attirare i clienti. Questo genere di mestieri erano definiti appunto les cris de Paris.

C’era l’amadoueur, indispensabile per accendere il camino quando ancora gli accendini non esistevano e i fiammiferi non erano poi così affidabili. Vendeva un prodotto a base di una sostanza estratta da un fungo infiammabile (amadouvier), che cresceva abbondantemente in Germania.
C’era il décrotteur, attivo ad ogni ora del giorno e della sera sul Pont Neuf, che armato di una spazzola e di un raschietto, ripuliva scarpe e calze dei gentiluomini che non potevano ripassare da casa a cambiarsi prima di un incontro importante o di una cena galante. Era sufficiente trattare con un po’ di blanc d’Espagne, uno smacchiatore a base di gesso, o della fuliggine di caminetto là dove occorreva “et voilà Monsieur, la macchia non c’è più”. Questa attività alquanto curiosa conobbe un grande sviluppo con la diffusione delle carrozze, all’inizio del XVIII secolo, quando gli schizzi di fango colpivano a tradimento i poveri passanti indifesi.
“À la fraiche, qui veut boire” gridava invece quello che a Napoli si chiamerebbe acquafrescaio, ma che a Parigi si definiva marchand de coco: a dispetto del nome, non vendeva latte di cocco, ma una bevanda aromatizzata alla liquerizia, talvolta profumata con qualche goccia di limone, che il suo andirivieni per le strade dotava di una densa schiuma, molto apprezzata dai clienti. Con il suo cappello piumato, i tintinnanti bicchierini di metallo attaccati alla cintura e la voce potente, non era certo uno che passava inosservato.
Se capitate al musée de Montmartre potrete vedere in esposizione uno di questi strani serbatoi che il nostro acquafrescaio parigino portava sulle spalle, assieme alla cintura con i bicchierini, naturalmente.

C’era anche il pain d’épicier, che tanto sarebbe piaciuto a mio marito, venditore ambulante di deliziosi dolcetti a base di spezie e miele, molto ricercati all’epoca perché si conservavano a lungo, a meno di non avere un marito goloso come il mio.

Altro apprezzato artigiano era l’automatiste, creatore di marionette animate, che erano molto in voga: un camaleonte che cambiava colore per ben sei volte, un pastore e una pastorella che eseguivano con il flauto tredici diverse melodie, un uccello che versava dal becco vino bianco o rosso a seconda del desiderio del cliente erano tra i capolavori più apprezzati durante il regno di Louis XV.
“Donne è arrivato l’arrotino” si gridava ancora dalle mie parti quando ero piccola (eh sì, ho un’età…) e a Parigi era il rémouleur l’artigiano che girava per la città con la sua mola alla ricerca di lame da affilare. Esisteva anche una sottocategoria di questo mestiere, il gagne-petit, una specie di arrotino a buon mercato, meno esperto forse, così chiamato perché davvero lavorava per pochi spicci.

Il mio preferito resta comunque il marchand de mort-aux-rats, il cui nome è tutto un programma e di cui mi pare di avervi già accennato in un vecchio articolo dedicato al Pont Neuf. All’epoca c’erano talmente tanti topi a Parigi, che bisognava escogitare ogni genere di diavoleria per difendersi dai loro attacchi, soprattutto quando le acque della Senna salivano di livello e i roditori invadevano le cantine.
Tra il XVII e il XVIII secolo si inventarono trappole molto sofisticate e ingegnose, tra cui alcune simili a ghigliottine (ironia del destino…). Si usava molto anche l’arsenico, che all’occorrenza serviva a liberarsi anche di mammiferi a due zampe.

Insomma i mestieri strani erano davvero tanti e i parigini non mancavano d’inventiva per riuscire a guadagnare qualcosa. C’era anche chi poteva farvi luce in inverno, quando la sera calava presto, e divenire un distributore d’acqua in estate, chi puliva il vostro pozzo, chi vi riforniva di capelli, in caso voleste farvi una parrucca, mestiere caduto in disgrazia durante la Rivoluzione, quando si tagliavano le teste e di capelli ce n’era più che in abbondanza, e nel caso la testa fosse ancora al suo posto, non mancava il venditore di vecchi cappelli.

Che incredibile caos dovevano essere le strade di allora, anche se devo ammettere che, pur scomparsi i venditori ambulanti, il caos è rimasto. Qualcosa però sopravvive ancora di questa antica tradizione e tutto sommato di strani mestieri se ne trovano ancora oggi.
Dalle parti del musée d’Orsay potete facilmente incontrare un ragazzo che vi preparerà un caffè espresso con la moka in graziose tazzine di porcellana e vicino al Centre Pompidou un altro giovane dotato di macchina per scrivere comporrà per voi una poesia su di un tema a vostra scelta, che so… l’amore, e proprio lì accanto potrete sapere se il vostro sentimento è ricambiato affidandovi a una signora dall’aria esotica che legge le carte.

Se poi vi sentite un po’ contratti, sulle berges de la Seine o davanti alla chiesetta de la Sorbonne non mancano mai i massaggiatori con i loro seggiolini pieghevoli. Nessuno di loro urla per offrire i propri servizi, ma mi piace pensare che siano i degni eredi degli intraprendenti mercanti di un tempo.
Come sempre, storia carina e accarrivante.
Marito goloso…
Prova a dire che non è vero… 😉
Un altro post davvero carino … e poi tra il tuo topo e il mio merlo mi sembra di cogliere qualche affinità (anche se al momento è in vacanza)! Buona estate ?
Grazie mille Elena! Auguro a te e al tuo merlo splendide vacanze 😉
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