Come un gigante triste se ne sta la Tour Saint-Jacques, solitaria al centro del giardino che porta il suo nome, il primo nato dei tanti square di Parigi.
Si sta bene seduti qui, all’ombra della grande torre, nell’aria dolce di primavera. Un venticello leggero fa danzare i petali dei fiori rubati agli alberi e poi li adagia delicatamente sui prati teneri, tingendoli di bianco e di rosa.

Un tempo la Tour Saint-Jacques non era sola: una chiesa molto antica, nata ben prima di lei, le faceva compagnia. La torre era infatti il campanile dell’église Saint-Jacques de la boucherie, parrocchia della potente gilda dei macellai, che esercitavano il loro commercio nei dintorni.
Sequestrata durante la Rivoluzione, la chiesa fu venduta a un mercante di pietre che la usò come fosse una cava. In poco tempo dell’edificio, le cui prime tracce risalivano al XII secolo, ma che era stato ampliato e abbellito nel corso dei secoli, non rimase più nulla. Solo il campanile, costruito tra il 1509 e il 1523, si salvò, perché la sua notevole altezza lo destinava ad altri usi.

Macellai a parte, il più celebre parrocchiano di Saint-Jacques de la boucherie fu l’alchimista Nicolas Flamel, che abitava qualche strada più in là e aveva la sua bottega di écrivain-juré nei pressi della chiesa alla quale, una volta divenuto ricco, donò un intero portale.
Quando morì, Flamel lasciò tutti i suoi beni alla parrocchia, chiedendo in cambio preghiere per sé e per la moglie Pernelle, come aveva fatto scrivere sulla lastra tombale posta all’interno della sua amata chiesa. Al momento dello smantellamento di Saint-Jacques de la boucherie la lastra finì, non si sa come, a fare da bancone a un fruttivendolo.
Riconosciuta per quello che era da uno studioso, fu trasferita al musée de Cluny, dove si trova ancora oggi.

Rimasta da sola in mezzo al nulla, la tour Saint-Jacques divenne nel 1800 una fabbrica di piombini da caccia. Secondo un metodo ideato in Inghilterra, per conferire la giusta densità ai pallini di piombo bisognava fondere il metallo, farlo passare attraverso una sorta di colino e poi far precipitare i piombini così ottenuti da una grande altezza nell’acqua fredda.
A questo scopo tutti i piani intermedi della torre furono smantellati, le volte distrutte e le pareti non tardarono ad annerirsi a causa del piombo incandescente. Nel 1819 scoppiò persino un incendio, che si risolse per fortuna senza grandi conseguenze.
Un secondo incendio divampò qualche anno dopo, nel 1824, ma questa volta non nella torre, ma nel mercato che aveva preso il posto della chiesa al suo fianco, mettendo a serio rischio l’intero quartiere.
Finalmente nel 1836 la ville de Paris riacquistò la Tour Saint-Jacques desiderosa di salvaguardare quel che rimaneva del campanile del XVI secolo, ma la fabbrica di piombo proseguì la sua attività fino allo scadere del contratto d’affitto, nel 1848.

Si pose allora il problema di che cosa fare della torre: una cisterna, una torre d’avvistamento? Ci fu persino chi propose di smontarla pezzo per pezzo e ricostruirla al centro di place du Châtelet.
Fu il barone Haussmann a salvarla decidendo di costruire rue de Rivoli: per conferire il giusto prestigio alla nuova strada, non ci si poté esimere dal restaurare l’antico campanile. I lavori furono affidati a Théodore Ballut, che non si limitò al semplice restauro, ma ci mise molto del suo.
Al piano terra perforò letteralmente le facciate per far apparire le volte interne. Al centro di questa apertura sistemò una statua di Blaise Pascal, che sembra abbia condotto alcuni esperimenti sui gravi dall’alto della Tour Saint-Jacques.

Attualmente si avanzano dubbi sulla veridicità di questa storia: secondo alcuni studiosi Pascal avrebbe effettuato i suoi esperimenti nella chiesa di Saint-Jacques du Haut pas, sulla rive gauche.
Poi monsieur Ballut mise mano alla decorazione. Fece rifare le statue della terrazza, i simboli dei quattro evangelisti: il leone per San Marco, l’aquila per San Giovanni, il bue per san Luca e l’angelo per San Matteo. Dopodiché fu la volta della statua di Saint-Jacques, il punto culminante della torre, che raggiunse così i cinquantaquattro metri, e delle statue dei santi da riposizionare nelle diciannove nicchie create nel XVI secolo.
Infine dispose qualche animaux fantastique qua e là, perché pare che già ce ne fossero nel 1522.

Le campane dell’antica torre erano state fuse durante la Rivoluzione e sembrò inutile metterne di nuove, dato che la chiesa ormai non c’era più. Ballut pensò allora di chiudere le alte finestre da cui un tempo sporgevano gli abat-son, ovvero le persiane di legno che servivano a condurre il suono verso il basso, con delle vetrate che imitano lo stile gotico.
Nei medaglioni centrali volle inserire le iniziali di Nicolas Flamel come omaggio al misterioso alchimista che era di casa nella chiesa di Saint-Jacques, ma che non vide mai il suo campanile, costruito ben dopo la sua morte.
La fine dei lavori di restauro coincise con l’apertura dell’Esposizione Universale del 1855 e l’imperatore Napoleone III decise di mostrare la Tour Saint-Jacques, di cui andava molto fiero, alla regina Vittoria, giunta a Parigi per l’occasione.
Da qualche anno la torre si può visitare, a patto di essere disposti a salire i circa trecento scalini che conducono alla terrazza (cliccate qui per prenotare la visita). Un po’ come scalare un palazzo di sedici piani, insomma, ma state sicuri che il vaut le coup: la vista su Parigi è insuperabile. E la piccola sosta che si fa più o meno a metà cammino, nella salle meteo piena di strane bottiglie, oltre a essere una curiosa scoperta, serve anche a tirare il fiato. Nel 1811 in effetti la Tour Saint-Jacques fu una stazione meteorologica e fino agli anni duemila si veniva quassù per misurare la qualità dell’aria.

Certo, guardando la torre oggi è difficile dire cosa sia rimasto del campanile delle origini, ma se ripenso a quello che la Rivoluzione ha fatto a Saint-Jacques de la boucherie, credo che sia meglio una torre un po’ rimaneggiata a una chiesa smontata pezzo per pezzo. Non trovate?
Ha un fascino un po’ malinconico la torre solitaria, che svetta leggera sopra i tetti di Parigi. Si domanda perché il destino l’abbia privata della sua compagna di sempre, la chiesa per la quale è stata costruita, e mentre al tramonto il sole l’accarezza dolcemente prima di ritirarsi, sussurra la sua storia ai pochi ritardatari che ancora se ne stanno seduti ai suoi piedi, felice che ci sia qualcuno desideroso di ascoltarla.

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