All’inizio dell’avventura di Frammenti di Parigi, vi avevo parlato di uno dei miei giardini preferiti, ma forse dovrei dire “il mio preferito”, il Jardin des Archives Nationales, delizioso rifugio verdeggiante nel cuore del Marais (qui troverete l’articolo, in caso lo voleste rileggere).
Se vi è capitato nel frattempo di fare una passeggiata da quelle parti, non vi sarà di certo sfuggito lo splendido Hôtel de Rohan, con la sua lunga e maestosa facciata in stile classico, recentemente riportata agli antichi splendori da un accurato restauro.

Ogni volta che mi siedo su una delle panchine in legno che ne bordano il giardino, mi perdo nelle sue geometrie e ripercorro col pensiero la storia un po’ tormentata di questo palazzo e delle persone che lo hanno abitato. E inevitabilmente il libro che mi sono portata da casa rimane nella borsa.

L’ultima volta che ci sono stata pensavo a François de Rohan, principe di Soubise, padre prolifico che donò al quinto dei suoi undici figli, il cardinale Armand-Gaston-Maximilien, alcuni terreni lungo la rue Vieille du Temple.
Come tutti i genitori, desiderava che il nobile rampollo si costruisse una casetta accanto a quella di papà e mamma, ovvero il magnifico Hôtel de Soubise, che avete visto entrando. Armand, ben contento del regalo, fece così edificare tra il 1705 e il 1708 l’Hôtel Rohan-Strasbourg.
La cosa che salta subito all’occhio è il fatto che la decorazione esterna dell’Hôtel de Rohan sia più modesta (si fa per dire) di quella del suo vicino, con cui condivide oggi come allora il giardino, ma curiosando nelle corti interne si scopre che la Cour des Ecuries sfoggia un capolavoro di Robert Lorrain, famoso scultore barocco. All’inizio del 1730, Lorrain scolpì i focosi cavalli di Apollo mentre al tramonto rientrano dalla loro corsa giornaliera.

All’interno del palazzo non è rimasto molto, ma per fortuna il Cabinet des singes esiste ancora. Opera del pittore Christophe Huet, la stupefacente boiserie unisce delle classicissime scene bucoliche ad altre di fantasia ispirate all’oriente, con delle scimmie come protagonista.
Dal momento che l’Hôtel de Rohan, che fa parte degli Archives Nationales, non è accessibile al pubblico se non con visite guidate (sospese in questo momento a causa dei lavori), potrete magicamente entrarci semplicemente cliccando qui.

Alla morte di Armand, il palazzo passò nelle mani dei tre cardinali e vescovi di Strasburgo che gli succedettero, tra i quali si annovera il tristemente famoso Louis-René-Edouard de Rohan. E qui la storia si fa intrigante, perché il nostro Louis è uno dei protagonisti dell’ affare della collana, scandalo settecentesco che secondo Mirabeau fu una sorta di “prefazione” alla Rivoluzione francese.
Tutto cominciò a Versailles nel 1785. Grand aumônier de France, Louis de Rohan, era uno degli uomini più ricchi del paese. Bramava un ruolo politico di rilievo e per questo motivo aveva più volte tentato di entrare nelle grazie di Louis XVI e Marie-Antoinette. Questo suo penchant per i reali ispirò alla sua amante, la contessa de La Motte, la più grande truffa del secolo.

La protagonista assoluta dell’imbroglio fu però una collana, disegnata e realizzata da due famosi gioiellieri parigini, Boehmer e Bassange perché Louis XV potesse farne dono alla sua amante, Madame du Barry.
La morte del re impedì all’affare di andare in porto e i gioiellieri si trovarono pieni di debiti e con una collana talmente preziosa tra le mani da risultare invendibile (il suo valore corrispondeva all’epoca a quello di quattro castelli con relativo terreno in Île de France). I due proposero allora la collana a tutte le corti d’Europa ma, ahimè, nessuno la volle comprare.

Il giorno in cui incontrarono Madame de La Motte, presunta amica intima della regina, dovettero pensare che i loro guai fossero finiti. Supplicarono la signora di “suggerire” a Marie-Antoinette di acquistare la collana e fu così che la contessa de La Motte concepì il suo piano diabolico.
Chiese al cardinale de Rohan di acquistare la collana per conto della regina, facendogli credere che Maria Antonietta lo aveva scelto come intermediario in questo affare: avrebbe dovuto anticipare il denaro e ritirare la collana per lei.
Per convincerlo, gli indirizzò alcune lettere che imitavano perfettamente la grafia della regina e organizzò persino un incontro al calar della sera nei giardini di Versailles con una sosia di Marie-Antoinette, che in realtà era una prostituta del Palais Royal. Che perfida!
Il cardinale, tutto contento, si occupò dell’acquisto concordando le date dei versamenti con i gioiellieri. Cominciò a pagare la collana, che fu subito consegnata nelle rapaci mani della sua amante affinché la recapitasse alla regina in gran segreto, senza dubitare neanche per un attimo di essere vittima di un inganno.

Cominciò, però, ad avere qualche sospetto quando si rese conto che Marie-Antoinette tardava a restituirgli le somme che aveva anticipato. Cessò quindi i pagamenti, facendo involontariamente scoppiare l’affare della collana.
I due gioiellieri, infatti, creditori di una somma ancora considerevole, pensarono di rivolgersi alla regina in persona e lo fecero attraverso Madame Campan, prima femme-de-chambre di Marie-Antoinette e dama di fiducia della regina.
Madame Campan cadde dalle nuvole e informò la sua signora di quanto stava accadendo. La regina montò su tutte le furie e corse dal re pretendendo giustizia. Ma lo fece con un po’ troppa veemenza, cosa che le inimicò buona parte della corte (il cardinale era pur sempre membro di una delle famiglie più antiche di Francia).

Louis XVI si vide costretto a convocare il cardinale di Rohan, che solo al cospetto del re si rese conto di essere stato imbrogliato. Accusato di furto (la collana era scomparsa: divisa in piccole parti era stata rivenduta dalla contessa in diversi paesi europei) e di lesa maestà, il cardinale preferì il processo pubblico al giudizio a porte chiuse davanti al re. E questa fu la sua salvezza.
Fu processato dal tribunale del Parlamento di Parigi, che non nutriva particolari simpatie per la corona. Le accuse contro di lui caddero, a discapito di quanto auspicato dall’offesissima regina, che ne aveva preteso l’arresto (eseguito platealmente davanti a tutta la corte nella Galerie des Glaces), e la prigionia alla Bastiglia.
Rohan fu costretto, però, a pagare le somme ancora dovute ai due gioiellieri e per questo alienò molte delle sue proprietà. Madame de La Motte fu condannata all’ergastolo, ma fuggì dalla prigione dove era stata rinchiusa poche settimane più tardi per andare a rifugiarsi a Londra.
La grande perdente di questa colossale truffa fu paradossalmente la regina, screditata agli occhi dell’opinione pubblica. Persino durante il processo che la condurrà alla ghigliottina le sarà rinfacciato l’affare della collana. Nessuno volle credere alla sua estraneità ai fatti, complice quella civetteria che l’aveva da sempre contraddistinta e che le faceva spendere milioni in abiti e toilette.
Ora capite perché non riesco mai a leggere davanti all’Hôtel de Rohan? Mi sembra di vedere il povero cardinale aggirarsi inquieto dietro le grandi finestre a chiedersi come abbia fatto a essere così sciocco…
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Gentile Barbara lei conoscerà senza dubbio il motto dei Rohan, nel quale mi sono imbattuta durante un viaggio in Bretagna “Roi ne puis, prince ne degne, Rohan suis”. Un tantinello orgogliosi…
Sto leggendo con moltissimo piacere il suo blog.
Non so dire perché, ma i Rohan mi hanno sempre appassionato. Li ho “scoperti” per la prima volta a Strasburgo, visitando il loro palazzo. Sicuramente erano molto orgogliosi del loro lignaggio ? si vantavano di discendere dai primi re di Bretagna e non hanno mai mancato di farlo notare ?
Grazie Gloria ?