In un articolo apparso il 4 dicembre 1819 su Le Moniteur Universel – l’equivalente della nostra Gazzetta ufficiale – si parlava di un bizzarro caso giudiziario, che occupava da tempo la polizia, quello del piqueur de fesses.
Per Parigi circolava, infatti, un misterioso individuo che si divertiva a punzecchiare il fondoschiena delle persone.
Gli efferati delitti avevano luogo principalmente al Palais Royal e a Les Tuileries, dove il malfattore mostrava una particolare predilezione per le giovani fanciulle indifese.

Un’arma ingegnosa
Servendosi di un ago o di un piccolo punteruolo, montato in cima a un bastone da passeggio, oppure di un ombrello se la giornata era piovosa, il piqueur de fesses, tra luglio e dicembre 1819, aggredì più di quattrocento persone.
La maggior parte di esse, per timidezza, per educazione, o per paura dello scandalo, al momento del fatto non aveva reagito, incassando la punzecchiatura senza un lamento, salvo poi denunciare il fatto nelle sedi competenti.
Questo pudico atteggiamento favorì il piqueur, che poteva defilarsi indisturbato.
Un rincorrersi di voci
Per fortuna, le ferite erano per lo più superficiali, anche se pare che il piqueur de fesses mettesse una buona dose di forza nello sferrare i suoi colpi a tradimento. Le vittime erano scosse e traumatizzate a tal punto, che nessuna giovane donna osava più uscire da sola per paura di essere presa di mira.
Giunti al mese di dicembre senza il minimo indizio sull’identità del piqueur e sul motivo che lo spingeva a punzecchiare chi incrociava la sua strada, la polizia decise di chiedere aiuto alla popolazione.
Fece pubblicare l’articolo di cui vi parlavo sopra, per sollecitare l’aiuto della cittadinanza, affinché il piqueur de fesses fosse individuato e arrestato.
L’articolo non sortì l’effetto desiderato, ma contribuì a creare il panico tra la popolazione. Nacque la voce secondo cui il piqueur avvelenava la punta dell’ago allo scopo di uccidere le sue vittime.
Si arrivò persino a dire che alcune persone erano morte a seguito delle ferite riportate.

Una città in preda al panico
Il fenomeno si amplificò, non si sa bene se a causa di emulatori o perché il piqueur de fesses faceva gli straordinari. Ogni nuova aggressione era scrupolosamente riferita dai giornali, accompagnata da una dovizia di particolari terrorizzanti, per lo più inventati.
Insomma, Parigi versava nel panico più assoluto e poiché la natura umana si rivela alquanto rapace nei momenti di difficoltà altrui, qualcuno pensò bene di approfittarne.

Un farmacista del Marais, monsieur Liébert, mise a punto un antidoto, il baume anti-piqûre d’aguille, che se applicato tempestivamente, avrebbe protetto la vittima da ogni nefasta conseguenza. Ne vendette a migliaia.
I burloni facevano a gara per inventare canzonette e diffondere caustiche vignette “ispirate” alla situazione, ma del piqueur ancora nessuna traccia.
Finché un bel giorno la Brigade de Sûreté, al comando del celebre Vidocq, prese in mano la situazione e senza tanti complimenti arrestò in quattro e quattr’otto il colpevole, tale monsieur Bizeul, giovane apprendista sarto dallo sguardo torbido.

Colpevole o capro espiatorio?
Il presunto piqueur de fesses si professò innocente, ma alcune delle sue vittime, molte poche in verità, lo identificarono.
Fu condannato a cinque anni di prigione e al pagamento di una multa di cinquecento franchi.
I metodi un po’ spicci di Vidocq, però, erano conosciuti da tutti. Ci si chiese se fosse Bizeul la persona giusta o se piuttosto i testimoni non fossero stati debitamente incoraggiati a riconoscerlo colpevole.
Fatto sta che i casi di punzecchiatura diminuirono, fino a cessare del tutto, ma se ne registrarono ancora due, uno nel 1822 e un altro l’anno successivo.
Insomma, sul caso restarono molti dubbi e qualche giornalista dalle spiccate tendenze cospirazioniste si chiese se non fosse tutta una manovra del governo per distrarre l’attenzione da situazioni e provvedimenti invisi al popolo, che si voleva far passare sotto silenzio. Chissà…
A ben rifletterci, le cose da allora non sono molto cambiate.
Oggi, grazie ai mezzi di cui tutti siamo dotati, ogni piccola falsità può assumere una eco spropositata, mutare il senso di un discorso, alterare un fatto. Con una facilità disarmante si procede al linciaggio mediatico senza troppo stare a verificare, nascosti dietro la fragile barriera di un account.
Un antidoto però c’è e si chiama buon senso. Avremmo bisogno di qualche farmacista che ne producesse in grande quantità.
Interessante e anche molto divertente ???. Grazie!
Grazie Elena, non credevo ai miei occhi quando ho letto alcuni degli articoli usciti all’epoca… 😉