L’avventura di Shakespeare and Company comincia al numero 8 di rue Dupuytren, non lontano dal boulevard Saint-Germain. È il 19 novembre 1919.
La Grande Guerra si è conclusa un anno prima e Parigi si sta risollevando lentamente. I bombardamenti tedeschi hanno causato quasi trecento morti. Il Parisgeshütz ha seminato il terrore con i suoi proiettili da novantaquattro chili, lanciati dalla foresta di Coucy sulla città.
A gennaio, la Conferenza di pace si è sforzata di ridisegnare gli equilibri dell’Europa. Gli Stati Uniti hanno approvato un emendamento che proibisce la produzione e la vendita di alcolici: entrerà in vigore l’anno successivo. L’architetto Walter Gropius ha fondato la Bauhaus.
È in questo contesto storico che, nei locali di una vecchia lavanderia-stireria, la trentaduenne Sylvia Beach apre la libreria dei suoi sogni. Una libreria americana a Parigi, che nel progetto iniziale avrebbe dovuto essere una libreria francese a New York.
Sylvia desiderava promuovere oltreoceano gli scrittori francesi che tanto amava, ma il piccolo capitale messole a disposizione dalla madre non era sufficiente a realizzare il suo progetto. A Parigi, invece, con quel denaro si poteva fare di più.

Qualche tempo prima, il destino le aveva fatto conoscere la bionda e opulenta libraia, nonché editrice, scrittrice e poetessa, che sarebbe diventata sua amica e compagna di vita, Adrienne Monnier.
Fu lei l’artefice del trasferimento definitivo di Sylvia a Parigi e la fata madrina di Shakespeare and Company.
Gli esordi
La prima devanture della libreria, oltre al ritratto di Shakespeare, che fu rubato per ben due volte, riportava anche la dicitura bookshop, o almeno questa era l’intenzione di chi la dipinse.
Ne uscì invece uno strano “bookhop”, che Sylvia considerò di buon auspicio per l’esordio di Shakespeare and Company. Lo conservò così com’era per qualche tempo, come fosse un amuleto.
Gran parte dell’arredamento proveniva dal marché aux puces, dove all’epoca si facevano ancora buoni affari. I mobili antichi si sposarono con gusto alle semplici scaffalature per i libri, le pareti si coprirono di fotografie e di scritti autografi dei più famosi autori di lingua inglese. C’erano persino due ritratti di Oscar Wilde in brache di velluto.
Nel tempo, si aggiunsero alla collezione alcuni preziosi scatti di Man Ray, di cui Sylvia andava fiera. Tutto questo bric-à-brac dal sapore vagamente dannunziano faceva della piccola libreria Shakespeare and Company un luogo di grande fascino, forse non apprezzato proprio da tutti, ma che sapeva raccontare molto della sua eclettica proprietaria.

La biblioteca
Shakespeare and Company era anche una lending library. Sylvia si rese presto conto che a Parigi era più facile prestare libri che venderli. Le edizioni in lingua inglese erano troppo costose per gli appassionati che varcavano la soglia della sua libreria.
Gli abbonati della biblioteca potevano prendere in prestito uno o due libri per volta e tenerli una quindicina di giorni, ma c’era chi, come Joyce, ne prendeva a dozzine per volta e li restituiva dopo anni, o come Hemingway che non usciva mai dalla libreria con meno di sei.
I Pellegrini d’America fanno la fortuna di Shakespeare and Company
Sylvia chiamava affettuosamente pellegrini d’America gli scrittori americani che attraversarono l’Atlantico per sfuggire alla censura. Negli Stati Uniti, l’accoppiata proibizionismo-censura rendeva la vita difficile ai sostenitori della libertà d’espressione.
Furono i pellegrini, secondo lei, a rendere famosa Shakespeare and Company.
La notizia dell’apertura di una libreria americana a Parigi, infatti, si era sparsa negli States alla velocità di un fulmine. Era da Sylvia che gli emigrati andavano arrivando nella Ville Lumière, ancora prima di cercarsi un appartamento. Shakespeare and Company era una sorta di presidio yankee nel vecchio continente, condotto con piglio e gentilezza da un generale in gonnella.
La libreria divenne una specie di club di expat. In molti la usarono come un’ufficio postale, facendosi recapitare lì la corrispondenza, a detrimento della povera Miss Beach che, oltre al suo lavoro di libraia, doveva anche smistare la posta dei clienti-amici.
Sylvia e James Joyce
Shakespeare and Company non era aperta neanche da un anno, quando Sylvia Beach conobbe Joyce. Il ritratto che fa del celebre scrittore nel suo libro (Shakespeare and Company, Sylvia Beach– Neri Pozza 2018 . Altamente consigliato) è molto lusinghiero e non risente minimamente delle difficoltà, anche finanziarie, che Joyce le procurò.
Secondo il racconto di Sylvia, Joyce era una persona alla mano, che ascoltava tutti con grande interesse: la portinaia del palazzo dove aveva sede la libreria, il tassista che lo portava da Shakespeare and Company, i colleghi scrittori come Hemingway e Scott Fitzgerald… Chiunque si trovasse a conversare con lui, riceveva tutta la sua attenzione.

A Sylvia, alla sua ammirazione e al suo coraggio Joyce deve la prima pubblicazione di Ulysses, un libro di cui tutto il mondo parlava, ma che nessuno voleva pubblicare.
Negli Stati Uniti, Ulysses era uscito a puntate su The Little Review fino all’intervento della New York Society for the suppression of vice, che intentò un processo alla rivista letteraria. Nel 1921 la rivista fu dichiarata oscena e il romanzo bandito dagli States. Le copie di Ulysses che da allora si tentò di far entrare illegalmente negli Usa, venivano sequestrate e distrutte.
In Gran Bretagna non andava meglio. Sir Archibald Bodkin, pubblico ministero nell’amministrazione di Sua Maestà, minacciò di intentare causa all’Università di Cambridge quando si seppe che un professore aveva richiesto di acquistare una copia del libro alla biblioteca dell’ateneo. Persino pronunciare il nome di Joyce alla radio era caldamente sconsigliato.
Grazie a Sylvia, che ebbe la lungimiranza di consegnare alle stampe in Francia quello che sarebbe diventato uno dei più grandi capolavori del novecento, i diritti d’autore di Ulysses divennero un’entrata sicura per Joyce e la sua famiglia, che navigava spesso in acque tempestose.

Miss Beach, invece, si fece la fama di editrice di libri erotici e dovette sopportare il continuo via vai di autori del genere “piccante” in cerca di pubblicazione. Talvolta, per convincerla, pretendevano di leggerle qualche pagina dei loro lavori, sicuri di farle piacere. La stoica Sylvia li metteva educatamente alla porta, dispensando materni consigli sugli editori che avrebbero potuto essere interessati, al contrario di lei.
Di guadagni, purtroppo, neanche a parlarne. Shakespeare and Company continuò a stampare l’Ulysses fino al 1934, quando Joyce firmò un contratto con un’importante casa editrice, dimenticando non solo di avvisare la sua amica Miss Beach, ma anche di indennizzarla.
Joyce-Beach, un rapporto difficile
Sylvia con molta dignità scrive:
Fin dal primo giorno avevo capito che, nel lavorare con o per James Joyce, il piacere era mio -ed era un piacere infinito- e i profitti suoi
Joyce inviava a Sylvia perché li pagasse molti dei suoi conti (cene in ristoranti di lusso, viaggi in taxi, acquisti scriteriati…). Lui e la sua famiglia vivevano ben al di sopra delle loro possibilità.
Sylvia gli fu anche molto vicina nell’affrontare i sempre più gravi problemi di salute, soprattutto le continue infiammazioni dell’iride, peggiorate dal glaucoma.

Pensare che dopo la definitiva chiusura del negozio la Beach viveva della generosità degli amici, fa male al cuore.
La sede definitiva della libreria
Nell’estate del 1921, mentre Joyce faceva impazzire Sylvia aggiungendo continue correzioni alle bozze di Ulysses, Adrienne scovò dei locali perfetti per Shakespeare and Company.
Si trovavano al 12 di rue de l’Odéon, proprio di fronte alla sua libreria, La maison des amis des livres, che aveva sede al numero sette della stessa via.
Assieme alla bottega si affittavano anche due stanzette al primo piano. Quello divenne l’appartamento di Sylvia.
Durante l’occupazione tedesca, quando un alto ufficiale minacciò di confiscare la libreria perché Sylvia non volle vendergli una copia di Finnegans Wake, l’ultima in suo possesso, in quello stesso palazzo Shakespeare and Company svanì, come se non fosse mai esistito.
La portinaia mise a disposizione di Sylvia un appartamento vuoto al terzo piano dove, in cesti della biancheria, fu nascosto tutto ciò che il negozio conteneva. La bottega fu smantellata completamente, incluse lampade e fili elettrici, e l’insegna cancellata da un imbianchino.
Era il 1941. Lo Shakespeare and Company di Sylvia non avrebbe riaperto mai più.

Gli amici di Shakespeare and Company
Tra i suoi amici, Shakespeare and Company annoverava il fior fiore degli intellettuali dell’epoca. Se dovessimo farne un elenco, questo articolo, già troppo lungo, si dovrebbe pubblicare a puntate.
Per immaginare l’aria che si respirava nella libreria, ci basterà ricordare Scott Fitzgerald, Sherwood Anderson, Ezra Pound, Djuna Barnes, Gertrude Stein con la compagna Alice B. Toklas e i francesi Léon-Paul Fargue, Valery Larbaud, André Gide, Paul Valéry. Vorrei poter continuare…
Ernest Hemingway, da parte sua, si definiva il “miglior cliente” di Shakespeare and Company e in effetti era uno che comprava libri pagandoli con denaro sonante. Almeno quando le sue finanze glielo consentirono.
In realtà, diventò un grande amico di Sylvia fin dal suo arrivo a Parigi nel 1921.
Di lui scrive la Beach:
Un giorno alzai gli occhi, mi trovai davanti un giovanotto alto, abbronzato, con un paio di baffetti e sentii una voce profondissima informarmi che l’uomo dinanzi a me era Ernest Hemingway
E fu proprio Hemingway a liberare rue de l’Odéon dai cecchini che si nascondevano tra i tetti all’indomani dell’ingresso degli Alleati a Parigi.

Si presentò a casa di Sylvia e Adrienne con ancora addosso la divisa con cui aveva combattuto, sporca e insanguinata, preoccupato per la sorte delle sue due amiche. Su loro richiesta, assieme ai suoi uomini, pacificò la strada una volta per tutte. Dopodiché le salutò e andò a “liberare” le cantine del Ritz.
Tutto lascia intendere che Hemingway e i suoi si siano molto divertiti…

Curiosa donna doveva essere Sylvia Beach, fragile all’apparenza, tenace e forte nella sostanza. Con tratto gentile ha raccontato nel suo libro lo spirito di un’epoca, la vita e i sogni di artisti e scrittori che gravitavano attorno a Shakespeare and Company, tra i più grandi del novecento.
Con pudore, invece, ha celato le sue aspirazioni, le difficoltà e le delusioni, mettendo sempre la letteratura al primo posto. Mai si è fatta un vanto delle sue amicizie, delle straordinarie imprese che ha compiuto. Con semplicità ha accolto ciò che il destino le ha riservato e senza clamore lo ha trasformato in un mito.

Shakespeare and Company oggi
Come sapete, l’eredità spirituale di Sylvia è stata raccolta da un ammiratore, George Whitman, che nel 1951 decise di aprire Le Mistral in rue de la Bûcherie, a due passi da Notre Dame.
La sua libreria divenne il ritrovo preferito di grandi nomi della letteratura come Samuel Beckett e Henry Miller, Burroughs e Ginsberg. Offriva anche un tetto agli aspiranti scrittori in cambio di qualche ora di lavoro tra gli scaffali.
Alla morte di Sylvia Beach, avvenuta nel 1962, cambiò nome in Shakespeare and Company.
Se volete saperne di più, vi rimando all’articolo che Frammenti di Parigi gli ha dedicato (click qui).

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