Parigi non sarebbe Parigi senza i suoi grandi magazzini. E non soltanto perché si può faire du lèche-vitrine tra articoli di lusso e modaioli, ma soprattutto per le facciate art-déco, i raffinati decori e le leggere strutture interne, opere di alta ingegneria che hanno saputo assecondare con maestria il vento del cambiamento.
Ma da quando i grandi magazzini fanno parte del paesaggio parigino?
Prima del loro avvento, il commercio qui, come in altre grandi città, era molto diverso. I negozi erano tutti altamente specializzati: tessuti, cappelli, scarpe, ombrelli e persino corsetti avevano botteghe tutte loro, dove la scelta degli articoli era molto ristretta, educazione voleva che ci si rivolgesse a un commesso appena entrati e il cartellino del prezzo era inesistente.

Perciò, per sapere quanto si sarebbe pagato un oggetto ci si sottoponeva a interminabili contrattazioni e il più delle volte il venditore stabiliva prezzo finale in base all’aspetto del cliente. La merce quindi aveva costi diversi a seconda che si fosse ricchi, agiati, oppure si appartenesse al popolino.
Ma a metà del XIX secolo, in una Parigi completamente ridisegnata da Napoleone III e dal barone Haussmann, una Parigi dove tutto cambia, tutto s’inventa, tutto è in movimento, una sola era la parola d’ordine: modernità. Come potevano sopravvivere i vecchi negozi, spesso annidati in locali bui e umidi, agli splendori dorati del secondo Impero?
Ecco allora farsi strada una concezione tutta nuova del commercio, che decreta la fine del negozio ultra specializzato e apre la strada alla nascita dei grandi magazzini. Quale tra i tanti può a buon diritto vantarsi di essere stato il primo?

Il titolo di decano spetta a Le Bon Marché, che forse non è il più conosciuto tra i grandi magazzini di Parigi, ma è di certo il più antico. A lui va il merito di aver rivoluzionato il commercio al dettaglio e di averlo fatto entrare nell’era della consumazione di massa.
La storia del Bon Marché si può sovrapporre a quella di un uomo, Aristide Boucicaut, un giovane normanno che appena diciannovenne decise di partire per Parigi in cerca di lavoro.
Era il 1829 e all’epoca il commercio era ancora basato sui principi tradizionali di cui parlavamo prima, anche se il cosiddetto magasin des nouveautés cominciava a farsi strada con una politica innovativa: vetrine accattivanti, ingresso libero e prezzi ben in vista.

È in uno di questi negozi “moderni”, Le petit Saint-Thomas, in rue du Bac, che Aristide Boucicaut viene assunto come venditore.
Qualche anno più tardi, messo da parte un po’ di danaro, entrerà in società con Paul Videau, proprietario di un magasin de nouveautés tra rue de Sèvres e rue du Bac, Au Bon Marché.
Boucicaut, aiutato dalla moglie Marguerite, che condivideva la sua visione moderna del commercio al dettaglio, introdusse la pratica della vendita a basso ricarico, fondata sul principio della rapida rotazione delle merci. Il suo metodo ebbe un tale successo che il giro d’affari passò da 450 mila a 7 milioni di franchi nel giro di qualche anno.

Paul Videau, spaventato dalle idee rivoluzionarie del socio in affari, temette che a una crescita così eclatante sarebbe presto seguita un’inesorabile caduta. Decise così di cedere la sua quota ad Aristide, che divenne unico titolare dell’impresa. A parte Marguerite, naturalmente.
Liberi da ogni vincolo, i Boucicaut crearono il primo grande magazzino, un negozio di grandi dimensioni dove il cliente poteva trovare tutto ciò di cui avevano bisogno, dall’ago per ricamo all’armadio per la camera da letto.
Mesdames et Messieurs approchez-vous, le paradis c’est par ici! Nel grande magazzino di Aristide e Marguerite tutto è creato per allettare, stuzzicare, incantare: le clienti sfiorano sete e cotoni, provano profumi, guanti e cappellini, comprano deliziosi ombrelli, scelgono merletti.

Il successo fu folgorante: dalla lingerie ai mobili, passando per la cartoleria, le porcellane da tavola, i giochi… al Bon Marché si trovava di tutto.
Per dei locali all’altezza di un’idea così rivoluzionaria, però, serviva un’architettura che lo fosse altrettanto. Se a un primo sguardo la facciata del Bon Marché può sembrare piuttosto classica, sappiate che dietro le pietre si nasconde un’innovativa struttura di ferro, che ha permesso l’istallazione di grandi vetrate e la creazione di enormi spazi liberi all’interno.
Inoltre i Boucicaut inventarono nuovi modi di vendere, come la moda stagionale e il mese del bianco, la vendita per corrispondenza e la spedizione gratuita, la consegna a domicilio degli acquisti, i cataloghi e la pubblicità, ma soprattutto introdussero il concetto di “soddisfatto o rimborsato”.

Per sollecitare le donne all’acquisto, seppero suscitare il desiderio: le merci non erano semplicemente esposte, ma diventarono parte di un’irresistibile mise en scène. Non si vendevano dei semplici articoli, si regalavano sogni.
Il grande magazzino era un luogo concepito per le donne: si offrivano regali ai loro bambini, le si lasciava passeggiare liberamente, senza obbligarle ad acquistare, si faceva in modo che guardassero e fossero guardate. Al Bon Marché tutte le classi sociali convivevano senza scandalo.
Nacque il mito della parigina elegante, seducente, indipendente. Le signore osavano uscire di casa senza i mariti e, fatto del tutto nuovo, disponevano di una parte del budget familiare per le spese personali, favorendo una certa indipendenza economica e sociale.

Ma per far girare gli ingranaggi di una macchina tanto complessa occorreva del personale. Tanto personale. Dai dodici impiegati degli inizi, si passò ai circa millesettecento novanta del 1877.
Se inizialmente erano principalmente uomini, il pudore delle clienti, che non amavano essere aiutate da un commesso a provare guanti, abiti, cappelli, incentivò l’assunzione delle donne. Le aspiranti commesse arrivarono a Parigi da tutta la Francia e i Boucicaut crearono per loro degli alloggi all’ultimo piano del Bon Marché.
Anticipando di diversi anni le rivendicazioni sindacali, Aristide e sua moglie introdussero grandi innovazioni: le ore di lavoro da sedici furono ridotte a dodici, si pagavano commissioni sulle vendite ai commessi, gli impiegati avevano diritto a un giorno di riposo settimanale retribuito, alla mensa gratuita, all’assistenza medica, a un fondo pensione.

Tutto questo è magnificamente descritto da Émile Zola nel libro Au bonheur des dames. Volendo dedicare un romanzo al fenomeno “grandi magazzini”, lo scrittore condusse per alcuni mesi un’accurata inchiesta al Bon Marché e al Le Louvre, intervistando impiegati e clienti.
La realizzazione più folle dei Boucicaut fu, però, quella dell’Hotel Lutetia, inaugurato diversi anni dopo il decesso della coppia, nel 1910. Marguerite aveva dato il via al progetto con l’intento di alloggiare nel lusso i clienti che arrivavano da fuori, a pochi passi dal suo grande magazzino.
Verso la fine del secolo in molti tentarono di imitare la formula del Bon Marché e perfino alcuni ex impiegati si lanciarono nella creazione di altri grandi magazzini, come Printemps, per esempio.
Oggi il Bon Marché, che ha sostituito l’articolo “Le” alla preposizione “Au”, ha decisamente cambiato target e non è più un negozio “a buon mercato”. Lussuoso, decisamente più glamour, è diventato il grande magazzino chic della rive gauche, dove la ricca borghesia parigina è sicura di trovare il famoso bon gout à la française.
E davvero di buon gusto ce n’è in abbondanza: gli allestimenti sono magnifici, le vetrine abbaglianti, ma il vero fiore all’occhiello è la struttura in ferro, alla quale sembra abbia messo mano anche Gustave Eiffel. I delicati intrecci, gli eleganti decori raccontano del tempo di Aristide e Marguerite e del loro paradiso delle signore.
«et de comptoir en comptoir, la cliente se trouvait prise, achetait ici l’étoffe, plus loin le fil, ailleurs le manteau, s’habillait, puis tombait dans des rencontres imprévues, cédait au besoin de l’inutile et du joli»
Émile Zola, Au bonheur des dames