Schiacciata dall’imponente e candida mole della Basilique du Sacré-Coeur, che s’innalza un po’ tronfia proprio lì accanto, la piccola chiesa di Saint-Pierre passa facilmente inosservata, nonostante sia, assieme a Saint-Julien-le Pauvre, una delle più antiche di Parigi.
Oasi in mezzo al caos, Saint-Pierre è assolutamente perfetta per sottrarsi alla folla rumorosa, che si riversa per le strade di Montmartre come un fiume in piena ogni giorno dell’anno.
Attraversare il piccolo cortile e penetrare nella penombra confortevole di questa chiesetta è un po’ come passare dal chiasso di un luna park affollato al silenzio del chiostro di un monastero, tanto per rimanere in tema.
Venite allora a sedervi con me su questa panca di legno scuro di fronte all’altare. In questo freddo mattino, i fedeli in preghiera sono pochi e ancora meno i turisti che spingono la porta d’ingresso.
Qualche raggio di sole sfuggito al grigio compatto delle nuvole, che hanno deciso, poveri noi, di passare l’inverno a Parigi, s’intrufola attraverso le vetrate, vestendo di luci tremule pavimenti e colonne. Penso che questo sia il posto giusto per riconciliarsi con il mondo (non dovrei venire a Montmartre quando sono di cattivo umore, ma ormai…).
Un tempo, agli albori della storia, questa collina era coperta di boschi. Non era raro incontrarvi un druido armato di falcetto d’oro, che errava accorto e silenzioso in cerca di una quercia, sulla quale mani divine avevano seminato il sacro vischio.
In epoca gallo-romana, invece, avremmo potuto passeggiare nella quiete di un terreno consacrato al culto di due divinità maggiori, Marte e Mercurio. Qui si ergevano, infatti, i loro templi, frutto dell’ingegno e del buon gusto dei nostri italici antenati. La collina al tempo veniva chiamata, a seconda delle preferenze, Mons Martis o Mons Mercurii.
Fu qui che, secondo la leggenda, nel III secolo d.C. ebbe luogo il martirio di Saint-Denis, vescovo evangelizzatore dei Parisii, i barbari avi dei parigini odierni (che a volte, diciamocelo, un po’ barbari sono rimasti, almeno per quello che riguarda il carattere ombroso).
Il povero Dionigi fu decapitato senza troppe cerimonie assieme a due compagni, Rustico ed Eleuterio. Ed ecco che la la butte divenne Mons Martyrum.
Pare che, dopo la decapitazione, Saint-Denis si sia fatto una lunga passeggiata con la testa sottobraccio fino al luogo dove oggi sorge l’omonima basilica, giusto per far sapere ai fedeli dove desiderava essere sepolto.
Va da sé che sul luogo del martirio sorse una cappella, oggetto fin da subito di un pellegrinaggio segreto.
Ma che c’entra tutto questo con la piccola chiesetta di Saint-Pierre, che ci ha magnanimamente offerto asilo?
Mettiamo subito in chiaro, a scanso di equivoci, che la chiesa di Saint-Pierre non è un’evoluzione della cappella del Santo Martirio. Fin dall’antichità, erano due luoghi di culto differenti, se pure nati per onorare il medesimo santo.
Pare che le origini di Saint-Pierre risalgano al VI secolo, quando portava appunto il nome di Saint-Denis. Accanto alla chiesa sorgeva una vasta necropoli merovingia, scoperta nel corso di alcuni scavi, realizzati nel 1875.
Distrutta dai Vichinghi nell’anno 855, e poi da una tempesta nel 944, la chiesa fu ogni volta caparbiamente ricostruita.
Nel 1133 entrò a far parte delle proprietà di re Louis VI assieme alla cappella del Santo Martirio. Louis decise di di fondarvi un’abbazia, posta sotto la protezione della corona, che ne finanziò la costruzione.
L’abbazia fu affidata alle amorevoli cure delle suore benedettine di Saint-Pierre-des Dames di Reims e prese il nome di Abbazia reale di Montmartre.
A partire dalla metà del XII secolo, l’abbazia divenne una delle più ricche e importanti del regno. Si racconta che Thomas Becket, arcivescovo di Canterbury, venne a rifugiarsi qui per sfuggire alla collera di re Enrico II d’Inghilterra. Il Plantageneto voleva a tutti i costi ridimensionare i privilegi ecclesiastici e Thomas si era messo di traverso sulla sua strada.
Il contenzioso non finì bene per il povero Becket, che fu assassinato nella sua cattedrale, quando finalmente si decise a rientrare in patria. Enrico II non era uomo da accettare un no come risposta.
Ma faccende inglesi a parte, la cappella del Santo Martirio, che faceva parte ormai del complesso abbaziale, divenne un luogo di culto molto frequentato. Pellegrini provenienti da tutta l’Europa giungevano a Parigi per visitarla. Sulle orme di Saint-Denis, imboccavano il sentiero dei martiri fino a Montmartre e poi proseguivano in direzione della basilica omonima. Una lunga camminata, a dire il vero, ma senza la testa sottobraccio, per loro fortuna.
Fu proprio in questa cappella che il 15 agosto 1534 Sant’Ignazio di Loyola, San Francesco Xavier e i loro compagni pronunciarono il giuramento di fondazione della Compagnia di Gesù.
Le sorti dell’abbazia seguirono, tra alti e bassi, il corso della storia, finché scoppiò la Rivoluzione francese e la chiesa di Saint-Pierre divenne Tempio della Ragione. Si giunse persino a installarvi il telegrafo e vi lascio immaginate che cosa ne fu di arredi, pietre tombali e oggetti sacri.
Più volte si pensò alla demolizione di questa chiesa ormai in rovina, ma per fortuna nel 1897 il consiglio comunale scelse di restaurarla. Tra il 1900 e il 1905 l’architetto Sauvageot, allievo di Millet e Viollet-le-Duc, donò a Saint-Pierre una nuova vita.
Ci mancò poco che, una volta restaurata, la chiesa diventasse un museo, ma l’abate Patureau, figura leggendaria di Montmartre, si batté affinché fosse restituita la culto.
E oggi Saint-Pierre è appannaggio quasi esclusivo dei parrocchiani, perché i turisti sono troppo distratti per accorgersi di lei.
È un peccato. La chiesa conserva gran parte dell’architettura romanica originale, anche se la facciata è stata ricostruita alla fine del XVII secolo. Le tre porte in bronzo dell’ingresso sono opera di uno scultore italiano, Tommaso Gismondi, che le ha donate a Saint-Pierre. Ogni porta racconta in immagini la vita di uno dei titolari storici della chiesa: Saint-Denis, Saint-Pierre e la Vergine.
Nonostante le vicissitudini, la chiesa possiede ancora alcuni arredi di pregio, tra cui un dipinto del Guercino, “Il rinnegamento di San Pietro”, due colonne di marmo scuro, che provengono da un tempio romano e alcuni capitelli romanici.
Ma quello che più importa è il senso del sacro che Saint-Pierre trasmette a chi si avventura tra le sue mura. Che siate credenti o meno, subito capirete che qui si respira un’aria diversa e sarà facile entrare in contatto con i propri pensieri, anche i più profondi, prestare attenzione alle emozioni e lasciare che si facciano spazio dentro di noi.
Un vero viaggiatore non potrà fare a meno di varcare la soglia di Saint-Pierre e sedersi ad ascoltare se stesso.