Il Palais Royal attraverso gli occhi di Colette

I luoghi prediletti dagli artisti, quelli cantati da parole ispirate o ritratti con pennelli fatati, sono avvolti da un’aura speciale, che anche il visitatore più distratto riesce a cogliere. Il Palais Royal è uno di questi.

Il Palais Royal è Colette. E una parte importante di Colette è il Palais Royal. Passeggiare sotto i portici, sedere all’ombra dei tigli su una panchina poetica, oppure rifugiarsi tra le pagine di un libro con le gambe allungate sul bordo della grande fontana, è un po’ come essere invitati a casa sua.

Panchina poetica con citazione di Colette
Citazione di Colette su una panchina poetica del Palais Royal

Davanti a una profumata tazza di tè, circondati di libri e di collezioni stravaganti- Colette amava i fermacarte di vetro- la gatta grigia che ci guarda sorniona dalla scrivania ingombra di quaderni, di fotografie, di pagine fitte di parole, ascoltiamo rapiti la voce dolce e forte di Sidonie-Gabrielle raccontare il suo Palais Royal.

Probabilmente nessuno più di lei ha amato questo luogo emblematico, splendente e sordido a seconda del momento, che ha visto la storia scivolare come un’ombra sui suoi muri. Un’ombra densa, pesante, portatrice di grandi cambiamenti e altrettanto grandi sventure.

Colette ha vissuto a lungo al Palais Royal, occupando due appartamenti diversi in altrettanti momenti della sua vita. E al Palais Royal è terminata la sua avventura terrena.

Colette alla scrivania

Tra il 1926 e il 1930, Colette abitò in un mezzanino, che descrive con molto humor nel suo Trois, six, neuf, definendolo un tunnel. Lungo quattordici metri e settanta centimetri, era un ottimo terreno di gioco per la sua cagnolina, che correva tutto il giorno avanti e indietro. Vi si udivano distintamente, ahimè, i rumori provenienti dalla galleria sottostante e dalla piccola finestra a mezzaluna non si riusciva a vedere il cielo, ad eccezione del fiume di nuvole che scorre sopra la rue Vivienne.

L’appartamento era anche molto umido, la salute di Colette ne risentì. Il medico le consigliò di lasciarlo e lei obbedì, a malincuore. Già a quel tempo, nonostante i disagi che doveva sopportare, era perdutamente innamorata del Palais Royal e del suo giardino.

L'ingresso e le finestre del mezzanino al Palais Royal
Il portone d’ingresso e le finestre a mezzaluna del primo appartamento di Colette

Si trasferì con l’intima certezza che prima o poi sarebbe tornata. Impaziente, aspettava che si liberasse l’appartamento sopra il vecchio mezzanino e finalmente, nel 1938, il suo sogno si realizzò.

Colette era giunta al suo quattordicesimo trasloco, l’ultimo. Il primo lo aveva fatto a diciotto anni, quando aveva lasciato la casa natale di Saint-Sauveur, in Borgogna, per sposarsi.

Per tutta la vita rimpianse il suo paradiso perduto e con esso l’infanzia. Ma al Palais Royal ritrovò un po’ di quel paradiso, lo fece suo e non lo lasciò più andare.

Le finestre del nuovo appartamento, che si trovava al primo piano, il piano nobile scriveva lei, si aprivano proprio sul giardino. Colette passava molto tempo affacciata, a osservare la vita di quel chiostro laico, come amava definirlo, ascoltando il gorgoglio della grande fontana che accompagnava le sue giornate.

Colette alla finestra del suo appartamento

Le piaceva cogliere quei piccoli segnali che annunciano il mutare delle stagioni, spiare maliziosa il passeggio elegante e commentare le toilettes delle signore, restare a guardare i bimbi giocare. Ma non alla guerra.

Si arrabbiava quando fingevano di essere soldati e li rimproverava dalla finestra, faceva delle smorfie, li spaventava. La guerra proprio no, nemmeno per gioco.

E a proposito di guerra, durante il secondo conflitto mondiale, Colette trascorse molto tempo nel suo appartamento al Palais Royal. Viveva in una sorta di autoconfinamento, che divenne un’inesauribile fonte di ispirazione.

A chi le chiedeva il perché della clausura che si era imposta, rispondeva con le parole di Blaise Pascal:

Tout le malheur de l’homme vient de ce qu’il ne sait pas rester tranquille dans sa chambre

Colette e la sua gatta

Dalla sua finestra Colette osservava un mondo in miniatura. Era come un teatro il Palais Royal, dove ogni giorno andava in scena la rappresentazione di una società nuova, creata dalla guerra e dall’instabilità politica ed economica che l’aveva preceduta.

Al braccio di Willie, il primo marito, aveva frequentato i salotti buoni di Parigi. Ora il Palais Royal le presentava un’umanità modesta, che si riversava numerosa nei giardini allo scoccare del mezzogiorno.

Poveri, di una povertà resa ancora più grave dalla guerra, nella loro pausa dal lavoro divoravano libri al posto del pranzo, che il più delle volte era molto, troppo frugale; oppure Colette li vedeva pazientare in fila per comprare un biglietto per il teatro. Parigi si faceva scudo della cultura contro l’orrore.

Le donne si truccavano con cura per mascherare lo sfinimento e la fame. Passeggiavano sotto i portici con scarpe dalla suola di legno, che le rammentavano gli zoccoli bretoni. Portavano gonne corte, come imponeva la moda, ma soprattutto la mancanza di tessuto o di danaro per comprarlo; disegnavano sulla parte posteriore delle gambe una falsa cucitura con la matita, per fingere di indossare calze che non potevano permettersi.

Tempi difficili quelli, eppure il ritratto che Colette fa del Palais Royal è spesso dipinto con colori pastello.

Adorava le gallerie che ospitavano uno accanto all’altro artigiani e piccoli commercianti, come in un villaggio di campagna.

E se guardava quella o quell’altra finestra, poteva indovinare la discreta presenza di Jean Cocteau, che ancora dormiva, di Christian Bérard, che cercava la luce migliore per i suoi disegni; oppure immaginava Mireille, seduta al pianoforte a coda color blu cielo, lavorare alle sue canzoni, o ancora Paul Reboux al tavolo che scriveva un romanzo.

Colette e Jean Cocteau nei giardini del Palais Royal
Colette e Jean Cocteau nei giardini del Palais Royal

E anche se la struttura del Palais Royal risentiva vistosamente del peso dei secoli, secondo Colette riusciva a sopravvivere grazie all’arte che abitava tra le sue mura.

Colette racconta anche la Resistenza passiva degli abitanti del quadrilatero durante l’occupazione. C’era chi faceva come se niente fosse il giorno in cui i tedeschi entrarono a Parigi, chi nascose dei paracadutisti alleati in casa, chi si rifiutò di vendere oggetti antichi a un ufficiale nazista e persino lo specialista del mercato nero si dette da fare per salvare un ebreo dalla deportazione.

Colette amava dire che il Palais Royal era un piccolo paese di provincia, ma con il senso di solidarietà e la tranquillità che alla provincia erano venuti a mancare. Una volta finita la guerra, per lei continuò a essere una coalizione di amici. E anche l’atmosfera del Palais Royal rimase la stessa.

Ancora oggi tutto sembra mantenersi intatto, a dispetto dei continui cambiamenti che travolgono Parigi. È una prerogativa del Palais Royal, dove si respira la serenità di un hortus conclusus.

Come Colette porgiamo il viso al sole con la schiena appoggiata a una colonna tiepida, usiamo una sedia come tavolino e con una tazza d’infuso tra le mani, facciamo salotto nel giardino.

Ogni volta che vengo qui, penso che il Palais Royal sia felicemente prigioniero di un incantesimo. È immune alla modernità, protetto dalla sua fata madrina che lo osserva orgogliosa dietro i vetri della finestra.

E se volete sapere qual è tra le tante la celebre finestra sul giardino, portatevi davanti alla Galerie de Beaujolais, all’altezza del numero 93. Sollevate gli occhi e vedrete un crescente di luna in bronzo intrecciato a una stella sul davanzale di quella che fu la camera da letto di Colette.

È l’étoile Vesper, che l’amico scultore Raymond Corbin realizzò per lei, omaggio a uno dei suoi romanzi più famosi, in cui Colette racconta come dal letto, dove la costringeva l’artrite, attendeva l’arrivo della stella.

La nuit tombe. Mais, n’est-ce pas vous Vesper? Et je vois votre pensée briller entre les rideaux rouges

P.S. : Chi frequenta le pagine di Frammenti di Parigi da tempo, conosce già la mia insana passione per il Palais Royal. Se volete leggere i due articoli che ne rintracciano al storia, click qui e qui.

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