Chiunque abbia visitato Parigi più di una volta saprà sicuramente quanti piccoli tesori la Ville lumière nasconde agli occhi dei turisti frettolosi, come sia capace di cambiarsi d’abito in un battere di ciglia o quanto le piaccia far convivere all’interno delle sue mura tante città tutte diverse.
Il pittoresco 18ème arrondissement, quello di Montmartre per intenderci, non fa certo eccezione, anzi. Ma c’è un angolino di questo quartiere tanto amato da fotografi e registi che, pur essendo sotto gli occhi di tutti, rimane incredibilmente nascosto: Villa Léandre.
Il nome suggerirebbe, almeno a noi italiani, una costruzione di qualche pregio, magari antica, ma in realtà si tratta di una piccola via senza uscita, un impasse, come dicono i francesi, che si apre sul viale più chic di Montmartre, l’avenue Junot.
Un tempo qui, tra rue Lepic e rue Caulaincourt, sorgeva il celebre Maquis, divenuto ormai parte integrante della storia un po’ romanzata della Butte, una sorta di paradiso perduto dove i poveri vivevano felici, irrimediabilmente distrutto dalla speculazione edilizia.
Le cartoline di inizio ‘900 lo raffigurano come un villaggio di montagna, fatto di chalet con i fiori alle finestre, dove fruttivendoli e artigiani sorridono all’obbiettivo del fotografo.
La realtà purtroppo era un po’ meno idilliaca. Il Maquis era una specie di baraccopoli formata da capanne e piccole case costruite con materiali di recupero, che serviva da rifugio a chi non aveva i mezzi per pagarsi un affitto.
Nobili decaduti e artisti più o meno famosi convivevano amichevolmente con mercanti e contadini in una sorta di città nella città, uniti dal vincolo indissolubile che lega gli abitanti di Montmartre ancora oggi, perché un montmartrois è qualcosa di più di un parigino.
Quando dall’avenue Junot svolterete nell’impasse Villa Léandre, vi accorgerete che del Maquis non è rimasta traccia. Un luogo silenzioso ha preso il suo posto, una strada lastricata ha sostituito i sentieri di terra battuta e piccole casette dall’aria londinese hanno cancellato le baracche di fortuna.
Per la verità, la via sembra divisa in due: sul lato destro le casette colorate, occupate per la maggior parte dalle stesse famiglie da generazioni, si susseguono una dopo l’altra, mentre a sinistra graziosi, piccoli condomini cercano di rubarsi la scena l’uno con l’altro.
Ora, lo so, state sbattendo gli occhi increduli e vi domandate se siete ancora a Parigi, oppure se per sbaglio, inseguendo un bianco coniglio, siete caduti nella sua tana che vi ha magicamente trasportati in un altro mondo, in un’isola in mezzo allo stretto della Manica, con le sue belle casette dallo stile anglo-normanno e una grave crisi d’identità: non sa proprio decidersi tra Francia e Inghilterra.
Inutile che vi pizzichiate il braccio, siete a Parigi, che si diverte a stupirci con un cambio di scena repentino.
E adesso che vi siete ripresi, soffermatevi a osservare tutti quei piccoli dettagli che fanno di questa strada un luogo unico e fuori dal tempo: i fiori, gli uccellini e i gatti di ceramica che decorano le facciate, gli eleganti battiporta (il mio preferito è quello a forma di mano), le piccole finestre che fanno capolino in mezzo alla vegetazione rigogliosa, i gatti (quelli veri) che passeggiano indisturbati o che si crogiolano pigramente al sole, i balconcini fioriti e i muretti di pietra, le tettoie con le tegole di maiolica, i bovindi dall’aria così british… e mille altre minuscole delizie che si mostreranno a voi se promettete di venire qui senza fretta.
Vi chiederete il perché di questo nome dal vago sapore mitologico, Villa Léandre… Ebbene, al momento della sua costruzione, questa piccola via si chiamava Villa Junot, ma nel 1936 la si volle intitolare a Charles Léandre, disegnatore e caricaturista montmartrois (qui lo spirito di corpo è fortissimo, come vi dicevo).
E per quel che riguarda la parola “villa”, beh vi basterà osservare le casette sulla destra per avere la risposta: una per l’altra sembrano delle case di villeggiatura, ville di campagna o ricche dimore di un villaggio in riva al mare.
In fondo alla strada, ai tempi del Maquis, c’erano due mulini, scomparsi come molti tra quelli che s’innalzavano sulla Butte a catturare il vento e che facevano di questa periferia parigina una sorta di villaggio di campagna.
Allora a Montmartre la vita era ben diversa da quella dei ricchi boulevard del centro città e nei cuori degli artisti squattrinati e della povera gente che l’abitavano regnava prepotente il desiderio di essere diversi, di vivere autrement.
Questo fresco venticello bohémien, a ben cercare, lo si respira ancora oggi, nonostante l’invasione dei turisti che sgomitano per le strette viuzze della Butte e soprattutto qui, a Villa Léandre, dove gli abitanti curano pazientemente i loro giardini, accarezzano i gatti dietro le finestre o leggono un libro sulla soglia di casa immersi nel silenzio di questo piccolo regno fatato.
Non badano troppo agli intrusi che vengono ad ammirare le casette che sembrano uscite da un racconto di Andersen, ben consapevoli del fatto che essere montmartrois fa la differenza…
P.S.: se durante la vostra passeggiata a Villa Léandre vi venisse fame, non esitate a fermarvi al bistrot sull’angolo, Marcel, un locale molto carino, frequentato dai parigini branchés, ovvero alla moda. Piatti sfiziosi e cucina di livello, nonché un’ampia scelta per merende golose. E non preoccupatevi per la linea… le ripide scale di Montmartre sono un ottimo mezzo per bruciare calorie.
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